E meno male che doveva cambiare l’Italia, sospinta dal crollo di qualche muro, ed invece non solo non è cambiato nulla ma, anzi, sembra essere peggiorata molto. Sono ormai anni che non cambia nulla, il tempo sembra sospeso su uno scricchiolante ed immorale Cassandra Crossing, tutto è rinchiuso in un sacco a pelo adagiato per terra, sotto un cielo stellato - luna inclusa anche se, di questi tempi, un po’ troppo spesso calante - in un camping degli anni 70 raggiunto il più delle volte innalzando il pollice sulle strade, naturalmente in rigorosa e tenera compagnia.
Musicalmente parlando era un periodo in cui la PFM, la Formula 3, i primi Nomadi, i mitici Beatles e i primi vagiti di gruppi vagamente rock e pop, si proponevano in alternativa al duo Mina & Battisti con l’ausilio di qualche centolire da far ingoiare ai juke-box. Ed era un bel momento qui a Bari. Le prime “ville”, a Santo Spirito o a Torre a Mare che pure un semplice impiegato di banca poteva permettersi (sia pure a rate), una leggendaria Italia Germania 4-3 in bianco e nero in TV diventata una sorta di mantra calcistico su cui si sarebbero, col tempo, versati ettolitri di inchiostro prima, e battiture su tastiere poi, le assemblee studentesche al Flacco e, per dirla alla Venditti, i cineforum e i dibattiti mai concessi allora e che invece ci concedevamo lo stesso, le eterne sfide al campo Rossani tra Scacchi e Flacco, Platone e Aristotele da tradurre e studiare, e un minuscolo giallognolo Pechenino da cui attingere i paradigmi di latino, il tutto mentre Italo Florio ci drogava coi suoi dribbling in un Della Vittoria i cui muri puzzavano di “piscio e cemento” (stavolta mutuando De Andrè), mentre un’aquila veniva raffigurata con la bomboletta spray sul muro sovrastante il Bar Esperia, aquila apparsa damblè in una notte fredda d’inverno quasi a voler marcare un territorio, succursale nera, di Poggiofranco. Insomma, non si può dire che ci si annoiava all’epoca nonostante mancassero le chat che solo danni psicologici son riuscite a fare e chissà quanti altri ne faranno.
I primi nonni che ci raccontavano di una guerra “appena” terminata ci lasciavano per sempre, noi che cominciavamo a sentirci grandi magari all’ombra di qualche fratello appena più adulto che, grazie a quei 4-5 anni in più, ci aveva spianato la strada della rivoluzione culturale, ascoltando Gaber, le Locomotive gucciniane, De Andrè, “le mani nere di fumo ma bianche d’amore”, un Rimmel più o meno vero ma, ahinoi, contestato al Supercinema di Bari ma sempre con tanti sorrisi. Ah, mala tempora currunt…
Era l’epoca del doppiamente vigliacco assassinio (in quanto poliomielitico) di Benedetto Petrone, accoltellato dalla solita squadraccia missina dell’epoca che terrorizzava le strade indirizzandosi verso chi, sia con convinzione che ingenuamente, sfilava nei cortei oltre che per protestare per il termosifone non funzionante, anche per gridare “Vallitutti boia” e che, a tempo perso, scriveva sui muri Kossiga rigorosamente col K, il tutto mentre un certo Moro sentiva l’esigenza di ascoltare Berlinguer.
Benedetto Petrone era un ragazzo comunista, un sognatore che, come tanti, credeva di cambiare il mondo come noi, magari suonando la chitarra, cosa che gli piaceva tanto.
Benedetto Petrone, come tanti, aveva lasciato gli studi per dare una mano alla famiglia come sempre numerosa alla quale, piuttosto che aprire pagina 49 di latino e studiare la consecutio temporum, serviva portare un chilo di pane a casa.
Benedetto Petrone era convinto di seminare quella squadraccia dileguandosi nei vicoli di barivecchia quella sera del 28 novembre: si sbagliava, on ce la fece a seguire i suoi compagni. Lo scrupolo della coscienza non avrebbe dato scampo a chi gli aveva infilato quella maledetta lama nel costato. Così come il tarlo del rimorso avrebbe corroso la mente e l’anima di chi partecipò all’assassinio visto che, come per tanti delitti incompiuti, ancora non si è fatta luce al cento per cento su Benny.
Per l’occasione ieri sera Claudio Lolli accompagnato come al solito da Paolo Capodacqua, chitarrista eccezionale, ci ha regalato un tuffo in quella sana nostalgia che, almeno per noi, si tagliava a fette. Aveva promesso ai familiari di Benny (a cui è stata intitolata - finalmente aggiungiamo dopo tante e troppe giunte - una strada) di suonare i suoi mitici pezzi proprio perché a lui piacevano molto i cantautori con la chitarra in mano.
Lolli, professore di italiano follemente perso tra le sue atmosfere malinconiche ma, lontano dalla chitarra e dal suo libro di testi con cui legge le sue canzoni, di una simpatia unica soprattutto a tavola (abbiamo avuto la fortuna di suonare con lui, dopo la performance, alcuni brani, ovviamente alla storica sede della Taverna del Maltese), nel 70 raccontava i disagi dell’epoca di un “Uomo in crisi”, lo squallore quasi brechtiano di una vita vissuta ad ore e - a proposito di drammi teatrali – rivisitava musicalmente Aspettando Godot, e partoriva, forse troppo frettolosamente, Borghesia scuotendo i movimenti di lotta tendenzialmente all’epoca studenteschi e di fabbrica, intuendo quello che, qualche decennio più tardi, sarebbe avvenuto.
E solo dopo un paio d’anni, i mitici Zingari, all’epoca tremendamente e invidiosamente Felici nel far l’amore, oggi purtroppo infelici e, forse, senza il relativo stimolo, canzone questa che riuscì ad entrare di prepotenza nel cuore della gente, di noi ex studenti, ma possiamo dire, senza presunzione, anche di coloro che preferivano ascoltare i Bee Gees, Donna Summer et simila.
Crediamo che Lolli si possa tranquillamente incastonare nel panorama della canzone politica degli anni 70, ancora oggi terribilmente attuale oltre al fatto che i suoi versi restano d’ufficio un simbolo di una generazione e soprattutto di un’epoca come un’arpa eolica del suo dimenticare o, se preferite, come un rumore rosa mai sbiadito ed anzi, in progress.
Vissuto in prima linea a Bologna in quegli anni, attivista del movimento, ha cercato di prenderlo a pretesto per raccontare la sua vita e quella dell’altra gente, Lolli ha proposto ieri sera, mentre la nostalgia si tagliava a fette, alcuni brani assolutamente attuali, Amore ai tempi del fascismo, Analfabetizzazione, e i mitici Zingari Felici.
Lolli è stato più volte a Bari negli ultimi dieci anni, all’Otium, in oratori di chiese squallidamente moderne, passando per l’ultima esibizione in piazza con il gruppo del Parto delle Nuvole Pesanti, guarda caso, proprio in Piazza Prefettura a due passi dalla lapide di Benedetto Petrone di cui, ricordiamo, lo stesso cantautore bolognese si stupì come mai una piazza del genere fosse “ancora” intitolata ad una banale e provinciale Prefettura.
La rivoluzione culturale degli anni 70 non autorizza a vivere di nostalgia, c’è un futuro da cui difendersi e, soprattutto, a cui adeguarsi. Lolli non è pentito di quello che ha scritto, anzi, ne è convintissimo al punto che, abbiamo detto, molte sue canzoni sono terribilmente attuali, così come, secondo Claudio, è una bufala la storia per cui gli anni 70 vengono considerati sempre e solo anni di piombo; è, per lui, una falsificazione storica. Che ci fosse un attivismo diffuso non v’erano dubbi, così come, talvolta, si tracimò in degenerazione ma quella era una generazione di eterni sognatori che speravano e credevano di cambiare il mondo o, quanto meno, credevano di rendersi disponibili nel tentare di cambiarlo. Si era idealmente all’opposizione di tutto, anche degli innocui genitori o di candide nonne pronte a versarci l’obolo settimanale, e proprio all’interno di queste maglie contestatrici ci si poteva ritrovare di tutto, anche forme di lotte armate, ma da qui a sostenere che gli anni 70 fossero solo anni di piombo – secondo Lolli - è un clamoroso falso.
Del resto oggi è tutto diverso. Esiste una frangia maggioritaria di giovani che prende le distanze dalla politica forse perché non attratti dalla stessa - ma forse perché, più semplicemente, non la percepiscono - e che, davanti ad un evento su cui discutere e dibattere, tendono a prenderne le distanze, attratti dalle proposte idiote mediatiche e dalle scommesse calcistiche, ormai unica fede in cui sperare, a Barreto, alle transazioni societarie e alle trasferte del Bari piangendo, però, eterna miseria, dallo squallore generale al gossip parlamentare, dalla “non” etica alla moralità (anzi, all’immoralità) con cui poi si sentono autorizzati a convivere, magari anteponendo un atto condannabile ad un libro. E la storiella della ragazzina barese beccata, l’altro giorno, in un negozio di Via Sparano a rubare un fermaglio per capelli ne è la conferma. Una tentazione a cui non ha sputo resistere, figlia di una devianza ma soprattutto del valore che, la ragazza, dà alla legalità, una legalità sconfessata soprattutto da chi ci governa.
L’amore è una rivoluzione per Claudio Lolli e la dimostrazione sta proprio in molte sue canzoni, dove amore fa rima con rivoluzione e che continua a cantare visto anche il terribile momento politico-culturale.
Massimo Longo
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